Marina Mancini relatrice a corso di formazione su la riforma della Legge 150 e la figura del giornalista pubblico

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Anche Marina Mancini è stata tra i relatori del corso di formazione sulla riforma della Legge 150 e la figura del giornalista pubblico.

Ad oltre 20 anni dalla sua approvazione la legge 150/2000 sull’Informazione e Comunicazione nella Pubblica Amministrazione, seppur innovativa, ha bisogno di aggiornamenti, sia dal punto di vista delle competenze di comunicatori e giornalisti, sia nel disciplinare nuove aree come quella dell’informazione digitale, che in questi anni hanno avuto un ruolo sempre più rilevante. L’introduzione dal 2018 della nuova qualifica di Giornalista pubblico, nei contratti collettivi nazionali del pubblico impiego, deve essere ancora oggi “recepita” dal basso, da enti locali e da aziende sanitarie. Con questo corso si intende fornire alle colleghe e ai colleghi un aggiornamento rispetto al profilo del giornalista pubblico, con particolare attenzione alla declinazione di questa figura nella realtà siciliana. I doveri del giornalista della P.A. e la legge 150/2000 nella Pubblica Amministrazione: limiti, applicazione pratica e necessità di una riforma. Il profilo del giornalista pubblico nei CCNL della PA, stato dell’arte sulla trattativa nazionale Aran, e la sua applicazione in Sicilia.

A Palermo ha introdotti i e condotto i lavori il segretario di Assostampa Sicilia, Roberto Ginex , sono intervenuti anche Angelo Palillo, componente direttivo nazionale Gruppo Uffici Stampa e Marina Mancini, segretario nazionale GUS e vicepresidente Gus Sicilia. Modererà i lavori Vito Orlando, presidente regionale del Gruppo Uffici Stampa Sicilia.

Presenti Alessandra Costante, vice segretaria vicaria Fnsi, responsabile del dipartimento Uffici stampa con delega alla trattativa con Aran, e di Tommaso Daquanno, direttore generale della Fnsi.

Il mio discorso

22 anni dopo, in questo stesso giugno mese in cui fu emanata la legge, ci ritroviamo ancora una volta a parlare di legge 150/2000. Come sapete un Gruppo di lavoro voluto dal ministero della Pa dipartimento della funzione pubblica e guidato dal direttore del Fomez Sergio Talamo, tavolo cui era presente anche FNSI con la dottoressa Costante, ha lavorato per oltre 5 mesi, pandemia compresa, ad una Riforma della 150, la cosiddetta 151, per riformare la Comunicazione pubblica e, aggiungo l’elaborazione di una Social media policy di indirizzo nazionale. E’ stata raggiunta una traccia di riforma per lo più condivisa e praticabile.

Il Documento tocca diversi punti, dall’istituzione di un’area unificata “comunicazione, stampa e servizi al cittadino” – una “communication room” in cui opererebbero i profili distinti di giornalisti e comunicatori – e tocca altri temi come la trasparenza, il lavoro agile la formazione continua sino al monitoraggio delle politiche assunzionali.

Bussola di quella bozza di riforma è la SVOLTA DIGITALE, orientata alla qualità del servizio al cittadino, mentre il METODO è la valorizzazione delle professionalità comunicative e giornalistiche.

Ai tavoli per la realizzazione della Social media policy nazionale ho lavorato anch’io ecco perché sono qui a parlarvi brevemente di comunicazione digitale e social media. Mi piacerebbe che fosse chiaro a tutti noi che la comunicazione digitale, i social media, se correttamente usati, possano rientrate a pieno titolo tra le attività, tra le prerogative della nostra professione.

A chi tra noi oggi non piacerebbe avere una sfera di cristallo per capire se si verificheranno tutte le condizioni per poter davvero rendere le attività di informazione e comunicazione SERVIZI EFFETTIVI, riconosciuti e strutturati all’interno degli uffici pubblici di tutte le PA. E lo dimostrano anche l’inserimento nel contratto pubblico del 2018 dell’inserimento delle figure del giornalista pubblico e dell’esperto di comunicazione.

Ad oggi, lo abbiamo detto, la situazione attuale invece è la più variegata e diversificata, in alcuni casi vige proprio una totale deregulation.

Eppure è oramai assodato che Comunicazione ed informazione sono un dovere delle PA per fare trasparenza, per rendicontare, per favorire la partecipazione, e anche per promuovere e rendere noti servizi al territorio, eventi e iniziative ma sono anche e soprattutto un diritto dei cittadini sancito dalla costituzione.

Per farlo al meglio occorre utilizzare tutti i mezzi e le tecnologie disponibili per arrivare a diversi target di cittadini, utenti, stakeholder.

Può sembrare scontato quel che ho detto ma non lo è quando si lasciano all’improvvisazione di VOLENTEROSI o di non professionisti le attività di informazione e comunicazione.

Sinora soprattutto nei nostri Enti colpiti da blocco dei turn over, da bilanci spesso asfittici tanto da non poter portare avanti specifiche assunzioni di nuove professionalità legate ai nuovi mezzi di comunicazione si sono lasciate queste attività o a dipendenti che hanno acquisito, per passione, le competenze o si improvvisa, e non entro nello specifico di quanti casi di improvvisazione ho assistito.

Ci sono casi di gestione degli account ufficiali di comuni gestiti dai sindaci, consiglieri comunali, direttori di ASP o dalle rispettive segreterie

Questo non deve più accadere: intendiamoci ai politici, agli amministratori non gli si vieta di comunicare attraverso i social o di avere propri account e pagine, già lo fanno, ma intanto occorre non fare confusione tra comunicazione istituzionale, comunicazione politica e propaganda. E chi meglio di un giornalista può capire la differenza?

Aggiungo poi che anche per la comunicazione politica sarebbe sempre auspicabile che non si improvvisi ma che professionisti specifici come i portavoce, meglio se giornalisti, possano essere di supporto alla comunicazione politica.

Va dato atto che la pubblica amministrazione, negli ultimi anni, ha compiuto comunque enormi passi e sforzi per uscire da una visione autoreferenziale, sino a poco tempo fa chiusa nel burocratismo del lavoro per procedure ed adempimenti. Le prime date dell’inizio del riscatto risalgono al periodo delle leggi Bassanini, negli anni ’90, al decreto legge 29/93 che istituiva gli URP uffici relazioni con il pubblico, alle norme sull’accesso agli atti, alla legge 481/95 sulle attività di customer e la qualità dei servizi pubblici, sino ad arrivare, nel 2000 alla tanto discussa legge 150/2000

La 150 che disciplina le attività di comunicazione ed informazione legittima, per la prima volta ed in maniera definitiva che l’informazione e la comunicazione sono riconosciute come costanti dell’azione di governo nella pubblica amministrazione.

Legge che come molti di noi giornalisti e comunicatori abbiamo evidenziato aveva un grande difetto: quello di non essere sanzionatoria nei confronti degli enti che non istituivano Uffici relazioni con il pubblico, uffici stampa, portavoce e che non disciplinavano le attività di informazione e comunicazione.

Ma neanche le pubbliche amministrazioni possono fermare il futuro e di lì a poco arriva la prima versione del CAD, il codice dell’amministrazione digitale, il testo unico che riunisce e organizza le norme riguardanti l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione nei rapporti con i cittadini e le imprese, istituito con il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, poi modificato ed integrato.

Ciò che è mancato alla L. 150 negli anni successivi è ciò che Mario Morcellini, presidente della conferenza di Scienze della Comunicazione e attivo esponente del Gruppo di lavoro per la riforma, ha definito “la manutenzione della legge”, l’aggiornamento.

Eppure anche avvertendo la necessità di comunicare, anche se spinti dai cittadini che chiedevano comunicazione, partecipazione e trasparenza, molti enti, a macchia di leopardo, hanno continuato a considerare le attività di comunicazione sempre attività residuali, non un vero e proprio servizio, che al pari degli altri, doveva essere offerto ai cittadini.

Questo atteggiamento ha anche creato disagi e dissapori tra dipendenti: chi si occupa di informazione nell’ente, il giornalista, il comunicatore non veniva considerato dagli altri colleghi come un dipendente tout court al pari degli altri ma come qualcuno che, al servizio del vertice amministrativo, serviva a “far bello”, a promuovere, a propagandare le attività del politico o dell’amministratore di turno, molte volte da quest’ultimo assunto o scelto all’interno dell’Ente, più o meno intuitu persone, favorendo l’idea che queste attività non fossero organiche, necessarie, strutturate nelle PA.

Eppure fare trasparenza, raccontare le attività delle amministrazioni ed i servizi che essa offre, significa rendere più efficace ed efficiente il funzionamento della macchina amministrativa dove il cittadino è al centro e non all’ultimo gradino di una PA vecchia maniera fatta di carte bollate, porte chiuse e dipendenti troppo impegnati sugli adempimenti e non sulla citizen satisfaction.

Per fortuna amministratori più avveduti e più interessati a comunicare, anche spinti dalle sollecitazioni normative come le norme su trasparenza ed anticorruzione, penso alla legge 190/2012, al decreto legislativo 33/2113. Queste sì sanzionatorie se disapplicate, hanno iniziato a comunicare utilizzando le giuste professionalità.

La PA è SERVENTE ha come scopo quello di rendersi utile e servire la collettività. Ed il cittadino non sarà al centro di questo processo e di questa relazione senza informazione e comunicazione, anche quella digitale che è più veloce, semplice, rapida e che sa essere anche coinvolgente ed empatica, sicuramente più friendly ed user centered.

I social network sul web iniziano a far breccia nel primo decennio del 2000 dove già erano presenti i siti web istituzionali degli Enti ma con una numero di visite che non eguagliavano, e ancora di più oggi, l’utilizzo dei social network.

Il rapporto tra la Pubblica Amministrazione e i cittadini ha vissuto una fase di profondo mutamento: i siti istituzionali non costituiscono più il principale punto di accesso alle informazioni. Sempre più spesso i cittadini cercano sul Web la soluzione ai propri problemi, si informano attraverso le proprie reti di relazioni, cercano il dialogo diretto con il proprio interlocutore, sia esso un’azienda o un ente pubblico, all’interno di spazi pensati per una comunicazione a due vie.

digital first

Per questo motivo le pubbliche amministrazioni hanno deciso di sbarcare sui social, da twitter a youtube, da facebook a linkedin prima e poi instagram, telegram, e oggi abbiamo pubbliche amministrazioni o amministratori e politici anche su tik tok, club house, e thwich.

Ma veniamo ai giorni nostri e alle prospettive:

Il salto, la grande svolta nella comunicazione paradossalmente ce l’ha fornita il covid 19, se un unico lato positivo si può ricercare in una delle pandemie più dannose degli ultimi secoli, forse è questo: l’accelerazione improvvisa dell’uso della comunicazione digitale. IL COVID HA ACCELERATO IL CAMBIO DI PARADIGMA.

A onore del vero già la legge 124 del 2015 ha cercato di spingere l’acceleratore verso la digitalizzazione

In altre parole DIGITAL FIRST.

Ma tornando alla pandemia: in pieno lockdown le PA hanno avuto necessità di raggiungere i cittadini nelle loro case, ed hanno potuto farlo proprio grazie alla comunicazione digitale, al DIGITAL FIRST è diventato un ONLY DIGITAL MUST

E dove sono e sono facilmente raggiungibili tutti i cittadini? Sui social!

I siti istituzionali, le email servono, ma oggi sono soprattutto i social media, le piattaforme di messaggistica whatsapp, telegram, i servizi di web chat assistiti dall’intelligenza artificiale a fare la differenza.

Noi giornalisti, anche quelli più vecchio stampo, non possiamo non tenerne conto, non possiamo negare il cambiamento.

Nei mesi del lockdown gli enti hanno informato i cittadini rimasti a casa grazie all’attività degli uffici stampa e comunicazione la cui attività è stata ritenuta servizio essenziale DPCM del 22 marzo 2020

Molti Enti avevano già la loro pagina facebook, magari aperta grazie alla buona volontà di dipendenti, spesso giornalisti o comunicatori che avevano un proprio bagaglio di conoscenze, ma oggi non basta avere un social occorre saperci stare.

Occorre contare su idonee strategie di informazione e comunicative diversificate

Promuovere i propri servizi, renderli noti, magari spiegarli agli utenti meno avvezzi all’uso della comunicazione digitale può essere una strategia comunicativa per aiutare nell’uso corretto di questi nuovi mezzi facendoli conoscere a tutte le fasce di popolazione, aiutando ad usarli e sfruttarli al meglio, con la contropartita per la PA di ridurre i costi per le Istituzioni e aumentare la soddisfazione del cittadino e la consapevolezza dell’utente sul servizio offerto.

Va precisata una cosa che seppur vera ha decisamente poco peso, in questo specifico caso, NON ESISTE ALCUN OBBLIGO NORMATIVO AFFINCHE’ UNA PA DEBBA STARE SUI SOCIAL.

Eppure sono oramai mosche bianche gli enti che non hanno almeno una pagina facebook, come poi occupino questo spazio virtuale è tutt’altro discorso.

E perché tutte le Pa hanno almeno attivo un account o una pagina social?

• I Social sembrano aumentare:

• capacità di ascolto, tempi di risposta, monitoraggio della soddisfazione dei cittadini; capacità di veicolare e confrontarsi su notizie e regole, contribuire anche alla partecipazione attiva dei cittadini

PERCHé MAI GLI ENTI PUBBLICI DOVREBBERO TRARRE GIOVAMENTO DALL’UTILIZZO DEI SOCIAL?

Lo abbiamo detto, i social media, con finalità istituzionali e di interesse generale, servono alle PA per informare, comunicare, ascoltare e per consentire una relazione più diretta e una maggiore partecipazione dei cittadini alle attività svolte.

Il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l’anno scorso ha dicharato: LA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE CORRETTAMENTE INTESA RAPPRESENTA UN POTENTE STRUMENTO DI RIFORMA DELL’AMMINISTRAZIONE. LA COMUNICAZIONE FA COMPIERE UN SALTO DI QUALITA’ ALLA CULTURA AMMINISTRATIVA, PROMUOVENDO IL SUPERAMENTO DELLA CULTURA DEL SILENZIO IN FAVORE DELLA CULTURA DEL DIALOGO, DEL CONFRONTO E DELLA MOTIVAZIONE, SOSTANZIALE E NON FORMALE , DEGLI ATTI E DEI COMPORTAMENTI.

il che dimostra come la COMUNICAZIONE sia una leva potente per le PA proprio per proiettarsi in un futuro sempre più efficiente ed efficace a servizio del cittadino.

Se le PA avessero già inserito, tutte, nei loro organigrammi Uffici stampa, urp, esperti del digitale, giornalisti e comunicatori,come oggi le norme ci dicono, a partire dalla 150 o come la spinta dal basso ci impone, probabilmente, non staremo qui a chiederci ancora quali siano le prospettive per la nostra categoria, quale il futuro? Come sindacato siamo stati e saremo ancora pungolo per le Pa! GRAZIE