Marina Mancini

Intervento di Marina Mancini al convegno: “Informazione pubblica: i professionisti dell’informazione al servizio dei cittadini: ruoli, funzioni, professionalità”

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Marina
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Il 29 giugno 2018 si è volto a Palermo, nella sede del Co.Re.Com della Presidenza della Regione Sicilia, il convegno: “Informazione pubblica: i professionisti dell’informazione al servizio dei cittadini: ruoli, funzioni, professionalità” organizzato dal GUS Gruppo Uffici Strampa Sicilia, gruppo di specializzazione del sindacato Assostampa siciliana.

Marina

Di seguito l’intervento di Marina Mancini dal titolo Uffici stampa 3.0 nell’era del digitale e dei social network.

I social sono il nostro “pane quotidiano” è quanto ha affermato Alessandra Costante della segreteria della Federazione nazionale della Stampa con delega agli Uffici Stampa durante un convegno organizzato dai colleghi di Stampa Romana. E se i social sono o saranno davvero il nostro pane quotidiano in questo consesso dedicato agli uffici stampa della pubblica amministrazione non si poteva ignorare l’argomento.ù

Ovviamente il mio intervento non può avere certamente la pretesa di essere esaustivo su un tema così importante quale è quello dell’informazione digitale sui social network per gli Enti pubblici, ne sia dimostrazione il fatto che l’Ordine dei giornalisti organizza diversi momenti formativi su questi temi, ma un’affermazione così perentoria ed energica come quella della Costante è comunque testimonianza del fatto che i social network hanno rappresentato una rivoluzione che ha invaso il campo della comunicazione, trasformandolo per sempre.

Negli uffici stampa sembra quasi che il classico comunicato diventi sempre meno importante, nei giornali appare che la carta attragga sempre meno i lettori, e gli stessi giornalisti, spesso e volentieri, vanno a prendere le notizie direttamente dalle pagine web delle loro fonti.

C’è un aspetto però che mi piacerebbe sottolineare sin da subito, e credo sia un aspetto da non sottovalutare: per una volta, le pubbliche amministrazioni sono arrivate PER PRIME, non sono state le ultime ruote del carro di uno sviluppo tecnologico che prende il via sempre dal privato ma hanno dato impulso e linfa alla costante diffusione dei social.

In Italia sono arrivate prima sui social rispetto ai privati, alle pagine commerciali e anche e rispetto anche alle testate giornalistiche, alcune delle quali sbarcate sui social solo negli ultimi due anni.

Ciò è avvenuto per un motivo molto semplice: l’approccio ai social è un approccio bottom-up, un approccio che viene dal basso perché sono stati per primi i cittadini, gli utenti, ad utilizzare i social.

Gioco forza dunque per le pubbliche amministrazioni, per raggiungere i cittadini decidere di seguirli sui social, il più famoso dei quali, inutile a dirsi è Facebook.

In che modo? Dapprima aprendo profili, anche generici come redazione, ufficio, ecc, superati sin da subito con le stesse regole imposte da facebook che bloccavano i profili non personali e non legati a persone fisiche, poi sono nati gruppi di discussione cui sono seguite immediatamente le fan pages, questo per restare solo ad uno dei social network più utilizzati; facebook appunto.

Contestualmente venivano aperti account di twitter, instagram, google plus, linkedin, e creati, forse anche precedentemente canali YouTube.

Ciò nelle PA è avvenuto per tre motivi: il primo i social sono GRATIS (e anche su questo occorrerebbe aprire una parentesi, in realtà non è esattamente così, perché potremmo anche dire che non appena decidiamo di iscriverci ad un social lo “paghiamo” mettendo a disposizione una risorsa importante, forse la più importante la nostra vita, i nostri dati, la nostra privacy).

Ad ogni modo possiamo comunque definirle delle risorse gratuite immediatamente utilizzabili, risorse open source, di facile utilizzo, a disposizione sui nostri pc, su tutte le tipologie di device, e soprattutto sempre con noi, quasi un prolungamento delle nostre braccia.

E così come sono gratis per il cittadino, fatto salvo il costo dello smartphone che oramai abbiamo quasi tutti e della connessione, i social sono soprattutto GRATIS per le pubbliche amministrazioni che un tempo pagavano somme considerevoli, quando non erano in dissesto o con bilanci strutturalmente deficitari per redazionali, convenzioni con testate, spazi su tv locali e quant’altro.

Risorse economiche che gli Enti non hanno più a disposizione come tempo, soprattutto nelle regioni del Sud. O se ce le hanno le investono in servizi che ritengono più stringenti come le politiche sociali.

La seconda motivazione che spinge le PA ad utilizzare i social è la stessa per cui aziende e privati hanno deciso di utilizzarli: vale a dire fidelizzare l’utente/cittadino.

Nel caso delle pubbliche amministrazioni potremmo dire: raggiungerlo a casa sua.

I siti web delle pubbliche amministrazione, a differenza delle testate giornalistiche on line, ora sempre più seguite, erano e sono poco attrattivi per i cittadini che non vogliono perdere tempo a cercare la notizia, a raggiungere il sito web istituzionale, vogliono la notizia e le informazioni sulla loro bacheca, vogliono aprire il social ogni mattina.

Spesso si limitano a leggere un abstract come, quando si comprano i giornali ed in molti si limitavano a leggere titolo, sommario e occhiello. Vogliono tutto subito e alla portata di un click o dell’accensione di uno smatphone e l’avvio delle app dei loro social preferiti.

Terza motivazione, ma non ultima, anzi nel caso delle PA probabilmente la più importante: i cittadini/utenti/lettori vogliono PARTECIPARE.

Con i social si sono aperte davvero le cosiddette e tanto decantate Case di vetro che non sempre lo erano aperte davvero.

Con i social il cittadino può commentare tutto, e non solo, può egli stesso essere parte attiva della notizia, può segnalare, può reclamare, può interagire.

La comunicazione non è più unidirezionale ma diventa a due vie, ogni notizia ha un feedback, non si può non dire LA VERITA’ perché si viene scoperti.

Qui toccherebbe aprire un’altra parentesi che riguarda le fake news, che a mio parere, anche quelle hanno vita breve sui social, e vengono individuate subito anche se intanto hanno già creato danni ai mercati, alle vite personali trovando facili creduloni che non verificano le fonti e condividono contenuti falsi, ma anche questo tema andrebbe adeguatamente approfondito.

Ma in questo quadro cosa c’entra l’ufficio stampa? Cosa c’entra il giornalista?

Presto detto; faccio un passo in dietro, avevo detto che le Pa sono sbarcate sui social prima rispetto ad altre realtà per effetto stesso della rincorsa ad informare i cittadini.

E chi nelle PA ha favorito questo percorso, questa discesa in campo?

Nella stragrande maggioranza dei casi sono stati proprio i giornalisti, gli addetti stampa, lì dove ovviamente essi erano operanti nella pubblica amministrazioni; sia che siano in pianta organica per effetto di una ricognizione interna o di concorso o che siano free lance, e a proposito del ruolo dei free lance, il collega Fidora avrà modo di parlare del lavoro autonomo anche negli uffici stampa.

I giornalisti dunque sono stati i primi a capire la portate di questi strumenti, non escludo ovviamente anche i comunicatori, anche loro, soprattutto se gestivano le reti civiche degli Enti hanno favorito questo processo. Spesso è volentieri però i siti web istituzionali sono stati gestiti proprio dagli uffici stampa.

Non vi è dubbio dunque che siano stati, lì ove presenti, gli uffici stampa a proporre ai sindaci pro-tempore di utilizzare tali nuovi strumenti di comunicazione.

Ora mi concederete un breve passaggio, quale esempio, sull’ufficio stampa del Comune di Bagheria per il quale lavoro.

Il mio Ente è stato il primo Comune siciliano ed uno dei primi in Italia a sbarcare su facebook nel 2008, dapprima con un gruppo di discussione sul social, dove venivano condivisi i comunicati stampa, seguì la nascita della pagina, cui ne sono seguite altre tematiche. Sin da subito il social è stato utilizzato per condividere le notizie istituzionali dell’amministrazione e anche per ricevere feedback dai cittadini.

Quell’anno la rivista Pubblicando realizzata nell’ambito di un progetto promosso dal dipartimento della Funzione pubblica ci dedico un pezzo con relativa intervista; Poco prima fummo anche i primi a creare l’albo pretorio on line sul portale comunale, notizia rilanciata dal Sole24ore e poi, più recentemente abbiamo lanciato l’albo pop, le notizie direttamente dall’albo pretorio su un canale telegram e sempre con telegram il canale di diffusione dei comunicati stampa. Contestualmente, avevamo già un canale Youtube dove condividere video, interviste e anche il nostro tg web “Comune in…forma” rigorosamente fatto in casa senza costi aggiuntivi per l’Ente.

Perché dico questo perché amministrazioni lungimiranti, negli anni, nonostante burocrati non sempre facilitanti, hanno creduto nella forza della rete, hanno capito soprattutto che le notizie dovevano essere gestite da chi sapeva lavorarle, sapeva scriverle e proporle ed hanno ritenuto che si doveva fare informazione anche attraverso i social proprio per i motivi di cui dicevo prima: arrivare più facilmente e velocemente ai cittadini.

Tornando ai motivi che hanno dato vita anche a questo nostro convegno vale a dire il nuovo contratto nei vari comparti del pubblico impiego, e all’introduzione degli articoli, che riguardano la figura del “giornalista pubblico”, non possono non condividere con voi alcune mie titubanze su aspetti, non chiari, che riguardano appunto il Chi fa che cosa”.

Nei contratti, nell’ormai famoso articolo 18 del contratto enti locali, ma anche negli altri contratti, si parla dello “specialista della comunicazione”, ma non si chiarisce bene chi è e cosa fa.

E’ un iscritto all’Ordine? E’ un comunicatore? Gestirà i social? Li gestirà in parte? È colui che è già individuato in diversi enti come il Social Media Manager.

Un discorso a parte si dovrebbe fare poi per il nuovo contratto FNSI_USPI che mi pare faccia confusione tra le declinazioni del redattore web: sembrerebbe di capire che anche chi sviluppa le piattaforme digitali e chi chi analizza i dati debba essere considerato giornalista. Ben venga invece la recente sentenza di Cassazione che obbliga all’iscrizione all’INPGI i redattori web che scrivono per l’online.

A proposito però del social media manager, per quest’ultima figura lo scenario italiano è piuttosto vario: si passa da enti in cui è presente un ufficio stampa con al suo interno un addetto alla gestione dei canali social, ad enti in cui il personale, anche le segreterie dei sindaci, si devono ritagliare pochi minuti al giorno per condividere le notizie, o addirittura farlo al di fuori del tempo lavoro, per pura passione.

Spesso il Social Media Manager negli Enti Pubblici è legato alla figura dell’addetto stampa, se non speculare ad esso, ed anche perché il tempo lavoro, considerati i tempi della rete, è di sicuro un tempo lavoro diverso da quello di un comune impiegato pubblico.

Personalmente ritengo che si debba fare chiarezza sul fatto che i social debbano essere gestiti da entrambe le figure: il giornalista e il comunicatore.

Il giornalista crea la notizia, la pubblica, la monitora per fornire un feedback al suo ente, al suo datore di lavoro. E qui si ferma il compito del giornalista, lì dove inizia invece quello del comunicatore che invece si occupa della moderazione, dei commenti, delle segnalazione e dei reclami che su quel post possono essere pubblicati. Il comunicatore modera e soprattutto gestisce la risposta al singolo cittadino. Per questo resta ancora assolutamente valida, a mio avviso, la distinzione tra “Comunicazione” e “informazione” propria della legge 150/00, che sebbene non sanzionatoria, sebbene inapplicata, sebbene elusa, ha comunque il grande merito di aver gettato le basi affinché si parlasse di informazione e di comunicazione, di uffici stampa nelle pubbliche amministrazioni, uffici stampa nei quali lavorano solo ed esclusivamente giornalisti iscritti all’Ordine e non improvvisati scribacchini di avvisi o veline.

Ad ognuno il suo lavoro dunque, ad ognuno il suo ruolo perché non si deve rischiare di svilire o trasformare la professione giornalistica in qualcosa di diverso da quella che è.

Dunque perché uffici stampa 3.0? Perché fare un ulteriore passo in avanti?

Che gli uffici stampa negli ultimi anni siano cambiati radicalmente anche per effetto del digitale è fuor di dubbio, ma non sono cambiati solo gli uffici stampa.  Ora rischio di dire qualcosa che può non essere simpatico per qualche collega ma è un’eventualità, non tanto recondita, cui dobbiamo stare attenti.

Parto da un esempio: avete notato che è sempre minore il numero delle conferenze stampa organizzate dagli enti pubblici? E soprattutto il numero dei giornalisti che vi partecipano?

Aumentano invece i materiali on line, le cartelle stampa digitali, in sostanza una sorta di conferenza stampa preconfezionata dove ora mettiamo a disposizione anche video oltre che foto perché abbiamo tutti il nostro canale su youtube. Il mondo digitale riproduce, e sopravanza, quello reale. E tutti facciamo i conti con i cambiamenti nelle nostre professioni. Può essere un bene ma può anche avere risvolti negativi.

Dunque notizie e materiali già preconfezionati o registrati in diretta durante le conferenze cui partecipano sempre meno colleghi, soprattutto se, come nel nostro caso, devono fare qualche km in più per uscire dal capoluogo, materiale ad uso e consumo della stampa generalista sempre più sottopagata, sempre più di corsa, sempre più costretta a fare i conti con pezzi pagati a 3 euro e tempo sempre più risicato, si riducono le inchieste e gli approfondimenti.

Il passo in avanti verso un ufficio stampa o meglio un settore o area di comunicazione dell’ente 3.0 deve essere quello di non lasciare più nulla all’improvvisazione, di non lasciare più nulla alla buona volontà di chi ne sa di più, di chi è più curioso, di chi, per deformazione professionale, segue le innovazioni tecnologiche, il vero salto in avanti sta nel programmare, normare, regolamentare, anche nel nostro settore, nel prevedere nei bilanci comunali somme da investire nella comunicazione – ricordo una direttiva Frattini del 2002, anche quella inapplicata che prevedeva che il 2% delle somme dei bilancio dovevano essere spese appunto per attività di informazione e comunicazione.

L’attività offerta dagli uffici stampa, l’informazione, è un’attività che ha pari dignità in confronto agli altri servizi rivolti al cittadino, è un diritto costituzionale perché un cittadino informato è un cittadino partecipe e coinvolto ed è anche il miglior garante dell’interesse generale, o per usare uno slogan diffuso è un cittadino sovrano.

Che gli enti, nei loro regolamenti, negli Statuti, stabiliscano dunque in che modo usare il digitale, in che modo usare i social, che la gestione dei social sia inserita nei piani di comunicazione, che si creino anche quelle famose regole di netiquette per chi li usa e chi li gestisce.

Solo così non si improvvisa e si migliora il servizio di informazione da offrire al cittadino.

Ciò, in diverse realtà del Nord Italia, già accade occorre uniformare tutta la situazione del Paese con regole certe, contratti chiari e appositi professionisti.

E’ importare sapere infine, e mi avvio alla conclusione, che oggi chi sa usare bene i social è molto richiesto, oggi chi sa usare i social ed il digitale trova lavoro, soprattutto nel privato, basti guardare le richieste da parte di aziende private su Linkedin un altro social dedicato proprio ai professionisti e ci si rende conto che quel che sto dicendo non è poi così peregrino.

La nostra professione è cambiata ce ne dobbiamo fare una ragione Blogger, influencer e nuovi giornalisti digitali rientrano a pieno titolo tra gli operatori che generano informazione e veicolano notizie, facciamo i conti con redazioni che non chiudono più sul far della sera, si fanno i conti con un tempo che è quello reale, puntuale, istantaneo e uno spazio che è illimitato, libero, aperto.

Ieri il tradizionale ufficio stampa approcciava i giornalisti con i mezzi che erano disposizione per l’epoca: telefono, fax, email. Oggi per l’affermarsi dei social, prima con i gruppi e le community di giornalisti, poi delle liste tematiche su Twitter e le conversazioni o i broadcast via Whatsapp e telegram è stata segnata un’era, che se da un lato risulta essere spesso eccessivamente invasiva dall’altro riduce i tempi, economicizza e ciò risponde a principi cardine delle PA che sono appunto efficienza, efficacia ed economicità.

Il giornalista dell’ufficio stampa 3.0 deve quindi rivedere le proprie mailing list annotando anche chi predilige gli strumenti digitali o chi preferisce ancora essere coccolato con una telefonata, deve tener conto del modus scribendi del collega, deve monitorare e presidiare i social, verificare la nascita di nuovi strumenti e risorse gratuite, partecipare a gruppi di discussione su linkedin, e alle conversazioni su twitter. Seguirà poi la fase del resoconto, della rassegna stampa che includerà anche l’analisi dei social, di quanto e cosa viene pubblicato cosa che permetterà di capire cosa non ha funzionato e cosa si, e ovviamente anche in questo caso i numeri e la copertura avranno il loro bel peso, che non si limiterà solo agli articoli o ai servizi usciti ma, nel caso dei social anche ai commenti dei blogger, degli influencer, al numero dei lettori coinvolti, dati che social come facebook e google plus già mettono a disposizione.

Senza perdere di vista che il fine ultimo resta sempre lo stesso, che vale oggi come ieri: offrire storie notiziabili, utili, veritiere,  interessanti ed accattivanti ai cittadini/lettori.

Marina Mancini